domenica 28 ottobre 2007

AAA figure di tango a cottimo


Una piccola riflessione sugli stage di tango, tappa obbligatoria di chi desidera ampliare le proprie conoscenze: costano tanto e si risolvono generalmente nellapprendimento di qualche figura.
L'impressione è che in Italia il tango stia diventando un mero prodotto commerciale, senz'anima. Paga ed avrai la tua bella figura.
Eppure chiunque balli da qualche anno sa bene che il piacere del tango, almeno di quello sociale, non è assolutamente nel numero di figure. Lo sapranno bene anche i maestri argentini, particolarmente rinomati qui da noi, un pò meno in madre patria, che continuano a riproporre e vendere figure, in quantità, a peso. Figure che, col passare del tempo, hanno reso stanche, ripetitive e prive di personalità.
I grandi milongueros di Buenos Aires hanno passato mezzo secolo in milonga, senza mai annoiarsi ed utilizzando un numero tutto sommato limitato di "figure". Continuano a frequentare le milonghe anche quando sono in Italia per lavoro e ballano con ballerine più o meno brave, divertendosi sempre (vedi ad esempio il grande Tete, di cui aggiungo qualche filmato). Mi desta una certa curiosità.
Aspetto quelle rare occasioni in cui sbarca in Italia qualche, ancora sprovveduto, maestro argentino, alieno al mercato italiano del tango, che con tutta la sua ingenuità e passione ti concede qualche insegnamento in più, oltre le figure, senza contare i minuti (e la moneta?). Presto però si ravvede, forse perché l'onestà intellettuale è poco apprezzata e, del resto, anche poco redditizia.
Il vero tango nuovo (da noi come in tuto il mondo) è il tango commerciale. Stage, vacanze-tango, festival, ecc.: sarà forse il caso che i tangheri inizino a petendere un tango più genuino e con meno danari intorno? Sarà così che i tanto rinomati maestri metteranno da parte passi e figure e inizieranno a trasmettere anche altro del loro grande (speriamo!) bagaglio di esperienza milonguera? La nostra passione meriterà pure qualcosa in più di figure a cottimo!
(foto by travelingotter)

sabato 20 ottobre 2007

Taglio e cucito: le donne del tango

Cari tangueros,
mi sembra quanto mai utile che ci si dica apertamente (almeno dietro l’anonimato del blog!) cosa non sopportiamo delle persone con cui balliamo. Basterebbe che uomini e donne si dicessero cosa proprio li infastidisce per permettere ad ognuno, nel suo piccolo, di cercare di migliorarsi e di vivere tanghi sempre più piacevoli. Da uomo, conosco meglio le opinioni maschili sulla questione (in gergo si direbbe “il taglio e cucito”) ma sto raccogliendo commenti anche dall’altro fronte, quello delle donne, per un futuro post che sarà pubblicato non appena avrò sufficienti informazioni.

Noi uomini conveniamo generalmente su almeno tre punti essenziali, che ci confidiamo segretamente al riparo di orecchi indiscreti.
Uno: preferiamo invitare donne sorridenti, positive e che “non se la credono troppo”. Il più delle volte questo è quanto basta per spingerci all’invito; certo, la generosità della scollatura può avere un suo peso ma, da sola, non sarà sufficiente. Sappiamo quanto impegno occorra per entrare in armonia con la partner e non gradiamo dover sprecare ulteriori energie per ammorbidire un carattere spigoloso.
Due: non sopportiamo le ballerine pesanti, cioè quelle che si poggiano eccessivamente sulla spalla destra o che ci tirano giù il braccio sinistro e neanche quelle che per spostarle occorre aver fatto incetta di carboidrati.
Tre: desideriamo ballare con chi, per la durata della tanda, si dedichi completamente a noi, concentrata nel seguire i nostri movimenti piuttosto che preoccuparsi della sua estetica.
Arriviamo così alla spinosa questione degli adorni! Capita di ballare con estremo piacere con delle ballerine, anche principianti, sin quando ad una lezione di tecnica femminile non vengono iniziate agli adorni. Il piacere diventa d’un sol colpo sofferenza. Occorre più energia per spostarle, pazienza per aspettarle e, cosa peggiore di tutte, rassegnazione perché, terminato di ballare con e per te, iniziano a ballare da sole, sole con i loro adorni!
Prevengo ogni dubbio dicendo sin d’ora che non si tratta solo della bravura della ballerina ma della sua predisposizione mentale. La concentrazione passa dal partner di ballo a se stessa e quanto più la ballerina è brava tanto più alte sono le probabilità che questo avvenga. Un’evenienza assai temibile dato che vogliamo tutte le sue attenzioni, come se fossimo i migliori tangheri del mondo. Questo ci stimola a dare il massimo.

In sintesi, gli uomini preferiscono le ballerine positive e sorridenti, che sappiano ballare quanto basta per non pesare e che abbiano la capacità di dedicarsi completamente al partner.
Non è necessario essere giovani, belle e tecnicamente perfette (anche se aiuta...). In molte milonghe d’Italia mi è capitato spesso di vedere “brave” ballerine sedute gran parte della serata e ballerine “meno brave” non avere un momento di pausa. Per quali motivi? Col passare degli anni si dovrebbe, a mio vedere, accrescere la propria capacità d’essere nel tango, di dedicarsi all’altro e non la propria abilità a ballare da soli!

Per quanto riguarda l’altra faccia della medaglia, cioè quello che le donne non sopportano nel modo di ballare degli uomini (e sarà bene fermarsi al ballo…), temo che la questione sia molto più corposa…intanto continuo a raccogliere informazioni. Evidentemente ogni contributo sull’argomento, da ambedue i punti di vista, sarà ben gradito.

lunedì 15 ottobre 2007

I migliori maestri di tango milonguero


Chi desidera imparare o perfezionare il tango deve inevitabilmente selezionare i maestri con cui studiare. Spesso mi è capitato che mi domandassero se valesse la pena o meno seguire uno stage o partecipare ad una data vacanza-tango. Anche girovagando in rete trovo spesso richieste di questo tipo: quali sono i migliori maestri? Da appassionato di tango milonguero posso dare qualche consiglio solo per il tango sociale, dopo una breve premessa però.

Nel tango sociale il valore di un ballerino va rapportato alle esigenze della comunità. Il tango dovrà essere piacevole (non necessariamente bello!) per il partner e armonizzarsi (concetto ben differente dal “non interferire”!) con quello degli altri. La presenza di bravi ballerini contribuisce a far crescere la comunità tanghera ed è un valore per tutti. Un bravo insegnante dovrebbe favorire l’integrazione dei suoi allievi nel contesto sociale delle milonghe della sua città e non rinchiuderli nella propria, come bestie rare in una riserva naturale. Il valore di un insegnante di tango milonguero non potrà mai essere rappresentato da nessun tipo di “diploma” (neanche se d’oro!). Vi consiglio di non fidarvi di chi garantisce la propria preparazione dietro un “diploma di maestro di danza” perché la competenza la si guadagna sul campo, in milonga, non attraverso certificazioni varie. Non ci sono scorciatoie. Chi le cerca ha in genere qualcosa da nascondere. Detto ciò, arrivo al punto.

Nel marasma di offerte non è possibile fidarsi di quello che riportano i volantini pubblicitari dato che ognuno di essi, invariabilmente, promuove i relativi maestri come indiscussi punti di riferimento di questo stile (ma quanti ce ne saranno??). In genere ci si affida alle indicazioni dei tangheri più esperti o si scelgono i maestri che ballano in modo più spettacolare: ambedue, criteri insufficienti e poco affidabili (o inutili?). Altri criteri, basati sulla personale osservazione, possono guidare meglio la scelta dei maestri.
In primis un maestro dovrebbe trasferire la cultura della milonga e l’amore per il tango-sociale. Se lui per primo non frequenta le milonghe (oltre la sua ovviamente) o partecipa solo per questioni di marketing, il consiglio è di scegliere altrimenti. I bravi maestri amano ballare e se il loro tango è piacevole è difficile che restino tutta la sera seduti. Se li vedete sempre, tutte le sere, al bar a chiacchierare, ci sarà qualcosa di strano… Per quanto concerne la didattica, un maestro si valuta facilmente dai suoi allievi. Per sapere se un allievo è bravo o meno basta ballarci.
Un bravo ballerino di tango milonguero infatti non è chi è bello da vedere ma quello con cui è piacevole ballarci! Questi pochi e semplici criteri permettono di scovare tra gli insegnanti della propria città o delle zone limitrofe quelli che realmente saranno in grado di trasmettere qualcosa di positivo.
Per i tangheri più esperti ed esigenti, al di là dei maestri locali, c’è spesso il desiderio di rincorrere i grandi maestri in giro per il mondo. In questo caso il ventaglio di possibilità si amplia molto e oltre i criteri suddetti, talora di difficile valutazione a priori ma di facile verifica a posteriori, si può aggiungere qualche considerazione.

Il tango milonguero era caratteristico dei quartieri centrali di Buenos Aires dov’è sopravvissuto per anni e anni, sino ai giorni nostri, attraverso la passione di vecchi ballerini. Questi ultimi rappresentano la fonte prima del tango milonguero e tutti i cultori di questo stile direttamente o indirettamente hanno appreso da loro. Dico indirettamente sia perché molti non ci sono più sia perché gli altri, oramai anziani, il più delle volte non sanno insegnare. Un problema questo ultimo che i maestri più giovani, anche se di madrelingua argentina, superano con maggiore facilità. A Buenos Aires diverse scuole si ispirano continuamente a questi vecchi milongueros cercando di conservare tutto il loro sapere. I maestri che studiano con loro e che frequentano abitualmente le milonghe di Buenos Aires, vivendo in prima persona gli insegnamenti appresi (importantissimo), stanno pian piano raccogliendo la loro eredità.
I migliori maestri sono dunque o i vecchi milongueros (se si ha la capacità di capirli!) o quei loro allievi che effettivamente frequentano le milonghe di Buenos Aires e vivono in prima persona gli insegnamenti appresi prima di trasmetterli. Quando questi maestri capitano in Italia vale assolutamente la pena di spostarsi per seguire stage e lezioni. Buon tango a tutti.

venerdì 12 ottobre 2007

Stili di tango

Nelle comunità tanghere c’è un bel discutere di stili di tango. Animate conversazioni, con tanto di sentenze, condanne e assoluzioni (poche), vivificano il “dietro le quinte” delle milonghe. Ognuno ha la propria verità assoluta, almeno provvisoriamente. La verità vera, quella certificata, in genere coincide con la versione sentita dal maestro verso cui si ripone maggiore fiducia. Non importa certo il vissuto perché è il “sentito dire” a farla da padrone. Ed è un tripudio di monologhi a cui, con eccesso di fantasia, si concede la qualifica di conversazione. Allora, ho pensato, anch’io che ho dei maestri preferiti e ne ho sentite dire tante avrò una verità vera sugli stili del tango! Poi, ridimensionate le aspettative, ho preferito adagiarmi su un più modesto e provvisorio ragionamento. Così, acquietata la coscienza e indossati i panni d’una falsa umiltà, mi sono accinto a scrivere il primo post di questo nuovo blog.

Com’è noto, il tango visse una stagione felice nella prima metà del ‘900 quando nella sola città di Buenos Aires, mi si racconta, si contavano circa 300.000 ballerini. Non giurerei sull’attendibilità di questa stima ma sicuramente il tango doveva godere di grande notorietà. Le occasioni per ascoltare o ballare il tango si susseguivano durante tutte le ore del giorno in diversi quartieri e periferie di Buenos Aires. I musicisti, chiamati ad animare i ritrovi, erano contattati continuamente dai gestori delle milonghe. Suonavano per i ballerini e, passando da un locale all’altro, affinarono sempre più la loro maestria. La musica prodotta in quegli anni fu il risultato di incessanti prove di fronte ad un esigente pubblico di ballerini. Mai più si ripresentarono condizioni simili e mai la musica ebbe modo di crescere insieme alla danza come allora.
Sarà questo il motivo per cui ancora oggi balliamo su registrazioni degli anni ’40 e ’50?
Forse il rinvigorito interesse per il tango di questi ultimi anni permetterà ancora un’evoluzione congiunta di musica e danza, anche con l’ausilio di strumentazioni tecnologicamente all’avanguardia. Tuttavia, è bene precisarlo, i tanghi elettronici che impestano le milonghe sono ancora molto lontani da questo connubio … fermo restando il diritto di ognuno di ballare cosa e come gli piace!
Tornando alla Buenos Aires di tanti anni fa, le possibilità di spostamento da un capo all’altro della città non erano certo le stesse di oggi e sicuramente i ballerini delle diverse zone della città avevano meno opportunità di confrontarsi con quelli di altre. Il risultato fu che, pur nella generale uniformità tecnica del ballo, i diversi quartieri si poterono caratterizzare per delle proprie espressioni stilistiche.
Il periodo di crisi politica che segnò il popolo argentino dopo gli anni ’50 portò via anche l’entusiasmo per il tango. La drastica riduzione del numero di musicisti e ballerini determinò la loro aggregazione verso le zone centrali della città dove, anche per l’assenza di spazi adeguati, si privilegiava uno stile caratterizzato dall’abbraccio generalmente serrato, potremmo dire con un’espressione moderna uno “stile milonguero”. Questo manipolo di tangheri ha traghettato il tango durante gli anni bui della storia argentina sino a tempi più recenti quando il ritrovato interesse per questa danza ha innescato una nuova fase di sviluppo, questa volta su scala mondiale. Il tango era essenzialmente una danza sociale e come tale è sopravvissuto ai periodi di crisi; mentre si è diffuso nel mondo attraverso lo sforzo di quei numerosi ballerini che, prendendo spunto dalle forme tradizionali, hanno evoluto un tango da palcoscenico, altamente spettacolare. Il che porta a distinguere nettamente gli stili da sala (tango salon) da quelli da palcoscenico.
In giro per il mondo, questi eccelsi ballerini hanno spesso mancato di insegnare lo spirito tradizionale del tango, la sua anima sociale, mischiandola e confondendola con la loro arte da palcoscenico. Bravi ballerini ma pessimi insegnanti: hanno spacciato come tango da sala ciò che in sala proprio non andrebbe fatto. Forse mancanza di onestà professionale, forse ignoranza, sta di fatto che questi insegnanti sarebbero cacciati in malo modo dalle milonghe di Buenos Aires se ballassero come taluni loro allievi europei. Il risultato è che in Italia dietro l’espressione “tango salon” si giustifica l’autorizzazione ad eseguire in milonga figure assolutamente inconciliabili con un contesto sociale.
Un tango salon che da “sala” ha ormai ben poco!
Considerato che la sala dove si balla tango è la milonga, da un punto di vista etimologico le espressioni “tango salon” e “tango milonguero” potrebbero essere considerate equivalenti. Probabilmente potrebbero essere mantenute distinte solo per distinguere due espressioni stilistiche nell’ambito del tango sociale caratterizzate rispettivamente da un abbraccio più o meno flessibile (giusto per sintetizzare). Le differenze sono tuttavia risibili se paragonate a quelle che separano i due stili dal tango da palcoscenico, con figure con i tacchi alti e dinamiche adatte a contesti ben differenti. L’espressione “tango milonguero” ha il vantaggio d’essersi mantenuta più pura dato che le peculiarità tecniche di questo stile hanno mitigato le possibilità di evoluzione in forme spettacolari da palcoscenico. Pertanto l’espressione tango milonguero indica un modo di ballare in milonga e conserva tutta la sua utilità, ad esempio dovendo selezionare gli stage formativi a cui partecipare. Anche qui ovviamente ci sono le dovute eccezioni: a tutti sarà capitato di fermarsi lungo la ronda della pista da ballo ad aspettare dietro una coppia di ballerini emuli di Gavito che (e se) finisse l’ispirazione immobilizzante. Ovviamente Gavito era un grande ballerino ma indubbiamente il suo modo di ballare in palcoscenico è poco adatto alla milonga e parlare di “stile milonguero alla Gavito” per giustificare interminabili pause è altrettanto aberrante quanto chi balla agitando i tacchi verso il soffitto (!) per muoversi secondo lo stile salon.
Resta evidente che tutte queste “esperienze aberranti” le ho vissute in prima persona, dapprima infastidendo le altre coppie di ballerini in giro per il mondo poi, quando ho corretto i miei errori, subendo il fastidio di trovarle in pista. I giochi del destino: “chi la fa l’aspetti” (karma?). Oggi me la prendo con gli insegnanti, sperando di non trasmettere anche io gli stessi errori.