mercoledì 23 luglio 2008

Omaggio a Ricardo Vidort


Ricardo Vidort è uno dei ballerini di tango che prediligo. Non avendo avuto la fortuna di studiare con lui, mi accontento di guardare ancora e ancora i suoi video e mi sazio dei racconti di chi invece lo ha conosciuto, sia tra gli amici italiani sia tra i grandi maestri argentini. Quando, nella pausa tra due lezioni, conversando con Susana Miller arrivammo a parlare di Vidort, i suoi occhi si illuminarono e si caricò di un nuovo entusiasmo. Subito dopo aggiunse “allora, alla prossima lezione vi mostro un passo di Ricardo!”.

I primi anni di tango mi emozionavano le esibizioni dei grandi ballerini da palcoscenico, come credo capiti un po’ a tutti. Oggi che di salti ne ho visti tanti e che inizio a guardare anche alla genuinità della partecipazione emotiva dei ballerini sono certamente meno sensibile alle coreografie di tango argentino eseguite con precisione svizzera e glamour francese: troppo cosmopolite!

Le esibizioni di Vidort invece mi affascinano: mi è sempre piaciuto pensare che, pur se in esibizione, Vidort ballasse assorto nella musica, unicamente per la ballerina; riguardo alle sue partner, mi sembra quasi che rinuncino all’attenzione tecnica per concedersi alla maestria del ballerino. Confesso che quando in milonga suona Poema non riesco a non figurarmi la splendida interpretazione di Vidort (riportato nei "tanghi a 5 stelle" del blog)

Un’interpretazione che sembra viva perché ogni volta che la riguardo scorgo un nuovo particolare che richiama la mia attenzione e mi impegna nelle milonghe successive. Un modo di eseguire una tecnica che emulo, estrapolo, sperimento e inevitabilmente mi rivela un nuovo gusto nel ballo. I “passi” sono sempre gli stessi, ma un ginocchio flesso, un gioco di pesi, di equilibri e squilibri, una particolare dinamica riescono a condire, insaporire e rinnovare il tango. “Ebbene caro Ricardo, rubo alcuni dei tuoi segreti sperando di onorare, solo per l’intenzione e non per gli esiti, l’arte del tuo tango”.

In questa mia ammirazione per Vidort, figurarsi la sorpresa quando spulciando in internet ho trovato altri due suoi video (http://www.tangoandchaos.org/chapt_5video/30ricardo.htm e ancora meglio ripreso http://www.tangoandchaos.org/chapt_5video/33ricardo.htm ), nuovamente di rara bellezza e genuinamente milongueri. Il contesto merita anche una lettura.

Da ultimo un estratto da una lettera di Vidort (nel post del 1/7/2008 “walk, walk, walk” del blog di Jenny Surelia: http://tangothoughts.typepad.co.uk/tango_thoughts/) in cui è proposto un significato all’essere milonguero. Per essere un milonguero, dice Ricardo (in un libero commento ad alcune frasi), devi avere innanzitutto un tuo proprio stile di ballo: un modo unico di sentire la musica, il ritmo, la cadencia e l'abbraccio... solo allora la musica invade il corpo e la mente perché possa entrare in comunicazione col tuo partner. Ballando per l’altro, dando priorità al sentimento: per questo un milognuero improvvisa sempre con il piacere d’essere se stesso. Il tango è un sentimento: praticare per essere sempre sé stessi e non la copia di qualcun altro.

Gaber avrebbe detto per non sognare i sogni di altri sognatori…
(foto by Kamath_In)

martedì 1 luglio 2008

L'unico allievo di tango



Capita spesso d’incontrare qualche tanghero che si proclama ironicamente l’unico allievo della sua città, conteso da tutti gli altri, ormai già maestri. Il corollario è che insegnano “cani e porci”. Se non ho mai ironizzato sulla precocità con cui capiti di autopromuoversi maestro, forse perché io stesso in difetto, confido d’averne condiviso più volte il corollario. Col tempo, ampliando la prospettiva di osservazione sul panorama tanghero nazionale, sto maturando invece giudizi assai più cauti.

Da un punto di vista squisitamente quantitativo, infatti, mi viene da pensare che quanto maggiore è il numero di insegnanti tanto più gremite saranno le milonghe e per me, che del tango amo la dimensione sociale, questa evenienza non può che essere positiva. Del resto se si fosse aspettato che giungessero eccellenti maestri d’oltre oceano per iniziare dei corsi, oggi non si ballerebbe che in poche città e con sparute comunità tanghere. Aggiungerei ancora che col passare degli anni, l’impegno di persone dedite all’insegnamento, oltre ad aumentare in numero e qualità i ballerini, ha contribuito anche alla crescita delle loro competenze didattiche. E non si può sottacere a tal proposito il fatto che oggi sono presenti in Italia maestri con esperienze d’insegnamento e capacità che spesso non hanno nulla da invidiare a quelle dei “colleghi” argentini.

Ovviamente queste considerazioni non spostano il problema della qualità degli insegnanti. Sarebbe da miopi non riconoscere che lo “stesso” tango possa essere insegnato in modi differenti, più o meno bene.

Da convinto milonguero penso che l’unico padrone del tango sia la “milonga”. La milonga decide del valore d’un ballerino, di un allievo o di un maestro; seleziona le tecniche e i comportamenti adeguati. E’ una scure pronta a recidere ogni autoreferenza: la qualifica di “maestro” non fa eccezione. Quando un allievo inizia a frequentare le milonghe ed a confrontarsi con gli altri delle diverse scuole può sincerarsi della bontà degli insegnamenti ricevuti. A questo punto il passaggio degli allievi da una scuola all’altra è fisiologico e forse forse anche positivo per la comunità tanghera nel suo complesso. Non dimentichiamo, memori anche della nostra personale esperienza, che la scelta iniziale della scuola presso cui cominciare il corso di tango è dettata da mille motivi che il più delle volte esulano dalla “qualità” dei maestri: la distanza da casa, le scelte degli amici, la scuola più famosa, ecc.. Si dovrà dunque considerare come ineluttabile una scelta successiva e più consapevole dei maestri a cui affidarsi.

In altre parole è la milonga l’unico filtro, “il mercato” del tango. Per questo trovo aberranti le pretese monopolizzatrici di alcune associazioni che intendono “diplomare” (e diplomano!) i maestri di tango, con tanto di livelli: bronzo, argento, oro… Se si accettasse (come alcune di queste associazioni richiedono) che il tango fosse insegnato solo da maestri “abilitati”, senza il vaglio della milonga, il piacere e la spontaneità del ballo sarebbero sostituiti da uno sterile tecnicismo, ammesso e non concesso che i diplomati abbaino almeno quello!
Una sorta di piccola “abilitazione” verbale la facciamo anche noi quando stabiliamo improvvisati, soggettivi e discutibili criteri circa l’inadeguatezza di alcuni ad insegnare, i cosiddetti “cani e porci”. Di ciò mi sono macchiato e continuo di tanto in tanto a macchiarmi la coscienza (con la cenere sul capo, però!). Forse occorrerebbe porre più attenzione all’importanza della milonga ed alle sue capacità di selezione.

Detto ciò, sarebbe interessante aprire un capitolo sulla figura del maestro di tango. A quanto ne sappia l’istituzione del ruolo di “Maestro” è abbastanza recente dato che un tempo il tango lo si imparava in famiglia o dagli amici o da conoscenti prima di avventurarsi in milonga. E questo potrebbe essere l’equivalente di ciò che succede oggi quando un tanghero con poca esperienza decida di dedicarsi all’insegnamento (il maestro precoce di cui sopra); senza nessuno scandalo. Senza nulla togliere a chi il maestro lo fa di professione né alle riconosciute capacità didattiche di molti bravi maestri, forse occorrerebbe smitizzare la figura dell’insegnante e riportarla al suo contesto più genuino che è quello di uno spontaneo trasferimento di esperienze … in attesa che superino il filtro della milonga.

L’argomento del post è abbastanza ostico per le innumerevoli implicazioni. Così ad esempio si potrebbero analizzare le responsabilità di chi tiene un corso e che comunque imposta un lavoro con il corpo dei suoi allievi. Le mie osservazioni si riferiscono al tango milonguero ma è certo che queste responsabilità aumentano sensibilmente quando, ad esempio, si insegnino delle figure più spettacolari come salti e giochi di gambe con una notevole sollecitazione delle articolazioni. In tutti questi casi, che competenze e quale esperienza dovrebbe avere un maestro di tango? (photo by Boston)