Nelle comunità tanghere c’è un bel discutere di stili di tango. Animate conversazioni, con tanto di sentenze, condanne e assoluzioni (poche), vivificano il “dietro le quinte” delle milonghe. Ognuno ha la propria verità assoluta, almeno provvisoriamente. La verità vera, quella certificata, in genere coincide con la versione sentita dal maestro verso cui si ripone maggiore fiducia. Non importa certo il vissuto perché è il “sentito dire” a farla da padrone. Ed è un tripudio di monologhi a cui, con eccesso di fantasia, si concede la qualifica di conversazione. Allora, ho pensato, anch’io che ho dei maestri preferiti e ne ho sentite dire tante avrò una verità vera sugli stili del tango! Poi, ridimensionate le aspettative, ho preferito adagiarmi su un più modesto e provvisorio ragionamento. Così, acquietata la coscienza e indossati i panni d’una falsa umiltà, mi sono accinto a scrivere il primo post di questo nuovo blog.
Com’è noto, il tango visse una stagione felice nella prima metà del ‘900 quando nella sola città di Buenos Aires, mi si racconta, si contavano circa 300.000 ballerini. Non giurerei sull’attendibilità di questa stima ma sicuramente il tango doveva godere di grande notorietà. Le occasioni per ascoltare o ballare il tango si susseguivano durante tutte le ore del giorno in diversi quartieri e periferie di Buenos Aires. I musicisti, chiamati ad animare i ritrovi, erano contattati continuamente dai gestori delle milonghe. Suonavano per i ballerini e, passando da un locale all’altro, affinarono sempre più la loro maestria. La musica prodotta in quegli anni fu il risultato di incessanti prove di fronte ad un esigente pubblico di ballerini. Mai più si ripresentarono condizioni simili e mai la musica ebbe modo di crescere insieme alla danza come allora.
Sarà questo il motivo per cui ancora oggi balliamo su registrazioni degli anni ’40 e ’50?
Forse il rinvigorito interesse per il tango di questi ultimi anni permetterà ancora un’evoluzione congiunta di musica e danza, anche con l’ausilio di strumentazioni tecnologicamente all’avanguardia. Tuttavia, è bene precisarlo, i tanghi elettronici che impestano le milonghe sono ancora molto lontani da questo connubio … fermo restando il diritto di ognuno di ballare cosa e come gli piace!
Tornando alla Buenos Aires di tanti anni fa, le possibilità di spostamento da un capo all’altro della città non erano certo le stesse di oggi e sicuramente i ballerini delle diverse zone della città avevano meno opportunità di confrontarsi con quelli di altre. Il risultato fu che, pur nella generale uniformità tecnica del ballo, i diversi quartieri si poterono caratterizzare per delle proprie espressioni stilistiche.
Il periodo di crisi politica che segnò il popolo argentino dopo gli anni ’50 portò via anche l’entusiasmo per il tango. La drastica riduzione del numero di musicisti e ballerini determinò la loro aggregazione verso le zone centrali della città dove, anche per l’assenza di spazi adeguati, si privilegiava uno stile caratterizzato dall’abbraccio generalmente serrato, potremmo dire con un’espressione moderna uno “stile milonguero”. Questo manipolo di tangheri ha traghettato il tango durante gli anni bui della storia argentina sino a tempi più recenti quando il ritrovato interesse per questa danza ha innescato una nuova fase di sviluppo, questa volta su scala mondiale. Il tango era essenzialmente una danza sociale e come tale è sopravvissuto ai periodi di crisi; mentre si è diffuso nel mondo attraverso lo sforzo di quei numerosi ballerini che, prendendo spunto dalle forme tradizionali, hanno evoluto un tango da palcoscenico, altamente spettacolare. Il che porta a distinguere nettamente gli stili da sala (tango salon) da quelli da palcoscenico.
In giro per il mondo, questi eccelsi ballerini hanno spesso mancato di insegnare lo spirito tradizionale del tango, la sua anima sociale, mischiandola e confondendola con la loro arte da palcoscenico. Bravi ballerini ma pessimi insegnanti: hanno spacciato come tango da sala ciò che in sala proprio non andrebbe fatto. Forse mancanza di onestà professionale, forse ignoranza, sta di fatto che questi insegnanti sarebbero cacciati in malo modo dalle milonghe di Buenos Aires se ballassero come taluni loro allievi europei. Il risultato è che in Italia dietro l’espressione “tango salon” si giustifica l’autorizzazione ad eseguire in milonga figure assolutamente inconciliabili con un contesto sociale.
Un tango salon che da “sala” ha ormai ben poco!
Considerato che la sala dove si balla tango è la milonga, da un punto di vista etimologico le espressioni “tango salon” e “tango milonguero” potrebbero essere considerate equivalenti. Probabilmente potrebbero essere mantenute distinte solo per distinguere due espressioni stilistiche nell’ambito del tango sociale caratterizzate rispettivamente da un abbraccio più o meno flessibile (giusto per sintetizzare). Le differenze sono tuttavia risibili se paragonate a quelle che separano i due stili dal tango da palcoscenico, con figure con i tacchi alti e dinamiche adatte a contesti ben differenti. L’espressione “tango milonguero” ha il vantaggio d’essersi mantenuta più pura dato che le peculiarità tecniche di questo stile hanno mitigato le possibilità di evoluzione in forme spettacolari da palcoscenico. Pertanto l’espressione tango milonguero indica un modo di ballare in milonga e conserva tutta la sua utilità, ad esempio dovendo selezionare gli stage formativi a cui partecipare. Anche qui ovviamente ci sono le dovute eccezioni: a tutti sarà capitato di fermarsi lungo la ronda della pista da ballo ad aspettare dietro una coppia di ballerini emuli di Gavito che (e se) finisse l’ispirazione immobilizzante. Ovviamente Gavito era un grande ballerino ma indubbiamente il suo modo di ballare in palcoscenico è poco adatto alla milonga e parlare di “stile milonguero alla Gavito” per giustificare interminabili pause è altrettanto aberrante quanto chi balla agitando i tacchi verso il soffitto (!) per muoversi secondo lo stile salon.
Resta evidente che tutte queste “esperienze aberranti” le ho vissute in prima persona, dapprima infastidendo le altre coppie di ballerini in giro per il mondo poi, quando ho corretto i miei errori, subendo il fastidio di trovarle in pista. I giochi del destino: “chi la fa l’aspetti” (karma?). Oggi me la prendo con gli insegnanti, sperando di non trasmettere anche io gli stessi errori.
2 commenti:
caro milonguero,
nel tempo si cambia il punto di vista sul tango in base alle diverse esperienze che se ne è potuto fare (sempre se ce n'è stata la possibilità di farle). E' utile leggerti, attraverso l'esperienza che tu racconti si chiariscono molti equivoci sul tango "milonguero" e anche il perchè dei luoghi comuni e in comuni che gli vengono affibbiati... da questa parte dell'oceano.
Ben ritrovata Farolit. E chissà quanti punti di vista avremo ancora da cambiare...per fortuna! Ciao e a presto.
PS. mirada intercettata :-)
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